Ogni tanto mi domando chi me l’abbia fatto fare di diventare una traduttrice freelance, poi però mi rispondo: sono nata così.
Se penso al mio percorso di studi, alle mie esperienze lavorative, al mio modo di pormi verso l’esterno e cerco di immaginarmi percorsi diversi, arrivo sempre dove sono ora.
E mi piace tradurre per le aziende. Lavorare per loro da “indipendente” in questo mondo globalizzato e interconnesso significa imparare sempre cose nuove, nuovi e differenti punti di vista. Stare al passo con i tempi e capire cosa sta succedendo, superare la paura innata di fronte ai cambiamenti perché tutto è in costante evoluzione. Vedere come si adattano gli altri alle novità e trasmetterlo nel linguaggio.
In uno scenario industriale sempre più multinazionale, significa trovare l’equilibrio e saper dosare con coerenza i termini nella lingua internazionale, che oggi è l’inglese, e lasciarli nel testo di destinazione, solo dove sono davvero necessari.
Rendere comprensibile al destinatario italiano un testo che è stato pensato per un uso ad ampio spettro fa parte del lavoro del traduttore che conosce benissimo come funziona la sua lingua e bene quella di origine del testo, ma che ha sempre da imparare; è specializzato nell’argomento o nel settore di cui tratta il testo o dedica molto tempo per approfondirne la conoscenza; crea un rapporto di fiducia, rispetto e collaborazione con il committente che si concretizza in un lavoro soddisfacente per entrambe le parti. Tutte queste cose insieme, purtroppo o per fortuna, i traduttori automatici e le agenzie di traduzione non riescono ancora a garantirle.